In morte di “re Giorgio” Napolitano

Ci lascia Giorgio Napolitano a 98 anni.  Il primo capo dello Stato a essere stato membro del Partito Comunista Italiano è stato pure il terzo napoletano dopo De Nicola e Leone, oltre che  presidente emerito della repubblica rieletto per un secondo mandato.

Viene a mancare una figura cardine della politica e della  storia dell’Italia dal dopoguerra a oggi. Tra le innumerevoli voci che bipartisan, in Italia e da ogni versante internazionale, si sono levate in omaggio e a commemorazione di ‘re Giorgio’, scegliamo   la  lunga rivisitazione dello storico  francese Marc Lazar. Le pagine sono quelle di Le Grande Continent,   rivista di geopolitica autodefinita “commento intellettuale su scia pertinente”. Scrive Lazar “Siamo davanti a un uomo che si è avvicinato alla politica in giovane età e vi si è poi dedicato completamente fino all’ultimo respiro, e allo stesso tempo un intellettuale dalla cultura sconfinata, sottile e raffinato, ma anche esperto di economia e di questioni istituzionali”.
La Politica fino all’ultimo.

‘Fino all’ultimo respiro’ è completa dedizione alla politica. Dal Partito Comunista   alla sostanziale e mai sconfessata adesione al riformismo  socialdemocratico alla Craxi. Riformismo a oltranza, si direbbe, nel nome e a beneficio del rispetto strenuo all’Istituzione. Ancora ci affidiamo a   Lazar: “Figlio del fascismo, comunista europeo, figura emblematica del “migliorismo”, uomo chiave delle istituzioni repubblicane e promotore di un’interpretazione eccezionale del ruolo del Presidente della Repubblica… “.

I gesti, le scelte di un presidemte.

Sua la scelta – primo atto da presidente – di nominare la biologa Elena Cattaneo come prima donna senatrice a vita;  suo l’impegno autentico, in prima persona, di  favorire  l’incontro della vedova e i figli del commissario Calabresi con i parenti dell’anarchico Pinelli.  
Resta a segno di contraddizione, nella storia di ‘re Giorgio’, la scelta – alla caduta del secondo governo Berlusconi con  lo spread italiano in ascesa vertiginosa  – di rimandare  ancora lo scioglimento delle camere. Di fatto equivalse a negare (quanto inconsapevolmente?) di leggere il momento della storia e della democrazia italiana. Ancora si negava  agli Italiani il ricorso alle urne, preferendo  affidare al governo dei tecnici di Mario Monti le sorti del Paese, forse già allora ben ansioso di libere elezioni.   Artefice e ‘vittima’ di una Politica alle corde, fu egli stesso primo  presidente   ad essere rieletto.  E proprio  nel giorno del suo secondo giuramento a camere riunute,  toccò a lui  infliggere il più emblematico mea culpa all’assemblea e a un’intera classe politica.  Gli applausi scrosciavano   quasi all’inverosimile, malgrado la forza di quelle  parole esplicite di reprimenda all’uditorio. E  risuonò drammatica e quasi irritata la sua voce:” il vostro applauso a quest’ultimo richiamo che ho sentito di dover esprimere non induca ad alcuna autoindulgenza». Un commiato che diventa epocale, per dirla infine con Lazar: “… la Repubblica italiana deve accettare – definitivamente – la fine del lungo Novecento”.

Chiusa lunedì sera la camera ardente allestita a Palazzo Madama, funerale laico  alle 11,30 di martedì 26 settembre.

 

 

 

 
 
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